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Vita di un fotoamatore ai tempi della pandemia

Ultimo aggiornamento: 28.04.24

“Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da sé.”Gabriel Garcìa Màrquez

 

Come l’emergenza Covid ha stravolto le mie abitudini e mi ha costretto a reinventare di sana pianta le mie passioni (nonché a scoprirne di nuove).

 

Diciamoci la sacrosanta verità, la pandemia è lontana anni luce dall’essere come l’avevamo immaginata; ben lungi dal possedere le tinte fosche e drammatiche con cui viene presentata nelle opere di fantascienza, si è presentata invece con la stessa banalità descritta da Hannah Arendt.

A parte l’aspetto grave e macabro, rappresentato dal pesante pedaggio in vite umane, il Covid ha portato con sé altri strascichi non indifferenti. L’altalenante lockdown imposto per prevenire la diffusione del contagio, per esempio, ha profondamente alterato i nostri ritmi e le nostre abitudini; per molte persone la permanenza forzata nelle proprie case ha creato seri problemi sul versante del lavoro, e questo ha contribuito ulteriormente a sconvolgere gli equilibri economici. Ma non è questo l’aspetto di cui mi sta a cuore parlare.

Sul versante del lavoro confesso che l’essere sottoposto alla quarantena forzata non ha avuto un grande impatto su di me. In qualità di ghost writer, infatti, sono in regime di smart working da oltre quattro anni, quindi ben prima che la pandemia avesse inizio; essendo un tipo spiccatamente casalingo, inoltre, il lockdown è risultato un po’ meno pesante, almeno durante i primi tempi.

 

Hobby e passioni che si modificano

Col protrarsi della pandemia però, e quindi con l’alternarsi della stretta sulla libertà di movimento, ho iniziato a vivere anche io un certo disagio. L’essere costretti a stare in casa senza poter avere contatti con altre persone, oppure limitati a stare soltanto con la cerchia dei familiari stretti, ha alterato i nostri spazi e anche il nostro modo di scaricare lo stress e la tensione attraverso gli hobby e le passioni personali.

Nel bene e nel male ognuno di noi ha dovuto fare i conti con questa nuova realtà e per quanto la situazione sia traumatica ho la piena certezza che, mai come adesso, questo periodo storico sia da considerare come il prodromo di un profondo cambiamento.

Prima della pandemia il ritmo frenetico della vita e del lavoro era la nostra scusa per evitare di rendere conto al “nostro io”; farsi assorbire dalla routine quotidiana è sempre stato il modo delle persone di tenersi lontane dalle cose importanti, quelle che sono dentro di noi e non fuori, il tutto in nome di una tranquillità mentale che a lungo andare, invece di salvarci, finisce con l’essere la nostra condanna.

Gli esseri umani sono ammirabili e detestabili in egual misura, tutto dipende da come decidono di auto-svilupparsi. Quando si è impossibilitati a proiettarsi verso l’esterno si impara a rivolgersi all’interno; questa non è una cosa difficile da fare, è un naturale processo di adattamento infatti, è solo il modo in cui affrontiamo questo processo che può rendere l’adattamento ammirabile o detestabile.

 

La fotografia come passione più grande 

Tornando alla mia esperienza personale, prima del lockdown ero solito uscire di tanto in tanto per dedicarmi a una delle mie grandi passioni, la fotografia; sono ormai 30 anni che la pratico ormai, in alcune occasioni anche come aiuto presso dei fotografi professionisti. Nonostante abbia acquisito notevoli capacità tecniche nel corso degli anni, però, il mio rapporto con la fotografia è rimasto sempre allo stato “amatoriale”.

Va bene così, per me ha sempre funzionato in questo modo e non ho rimpianti in merito; ho competenze tecniche di livello professionale ma sono libero dall’obbligo di dover fotografare su commissione o per denaro, il che mi ha permesso di usare la fotografia uno strumento di espressione personale e mostrare il modo in cui percepisco il mondo e gli eventi.

Quando ero più giovane e incline ai viaggi ho avuto modo di sperimentare tanti tipi di fotografia, del resto quando sei in viaggio devi essere estremamente versatile e reattivo perché il contesto cambia in fretta. Tralasciando il mio percorso fotografico personale, il tipo di generi e i soggetti che mi sono trovato a fotografare nel corso degli anni, quando è scoppiata la pandemia e siamo entrati in regime di lockdown le mie possibilità di movimento sono state praticamente azzerate.

Vedere la mia fotocamera dormire nella borsa non era certo uno spettacolo piacevole, trovavo estremamente penalizzante il non poter uscire e fare foto, soprattutto perché mi ero ormai abituato agli spazi aperti e all’uso costante del superzoom. La street photography non mi attira più ormai, complice anche il fatto di vivere in un piccolo paese di provincia, quindi sotto questo aspetto mi sono sentito immediatamente paralizzato.

 

La ricerca dell’equilibrio 

Come accennato prima, però, sono convinto che il lockdown ha avuto anche degli effetti positivi, perché isolandoci ci ha costretti a fare i conti con noi stessi, e io ho dovuto fare altrettanto. Dopo un approccio iniziale detestabile, fonte di malessere esistenziale, sono riuscito a trovare un equilibrio. Accettando i limiti imposti mi sono reso conto che questi erano soltanto illusori, come del resto lo sono tutti i limiti creati dall’uomo.

Alla fine ho scoperto che la mia personale ricerca fotografica non era strettamente legata agli spazi aperti, al cielo e ai panorami; anche nel microcosmo domestico si possono trovare panorami suggestivi, soprattutto quando si è in grado di connettersi con i percorsi delle proprie vene creative. Sulla spinta dell’adattamento al lockdown, quindi, sono riuscito a reinterpretare alcuni generi fotografici sotto nuovi aspetti e ho avuto addirittura modo di cimentarmi in generi che in passato mi avevano sempre attirato, come l’astrofotografia, ma che non avevo mai osato provare per una mera questione di pregiudizi.

La morale di questa testimonianza dovrebbe essere ben chiara a questo punto, nella nostra vita tendiamo a cristallizzarci, ad autodefinirci in base a quello che facciamo. Ciò che facciamo ci da una dimensione e un ruolo, ai nostri occhi e a quelli degli altri, ma in realtà non è questo a definirci.

L’essere umano, come tutte le cose, è in divenire; un perenne “lavoro in corso” dal momento della nascita fino a quella della morte. Il cambiamento e l’adattamento sono l’unica costante della nostra vita ma noi tendiamo a dimenticarlo, purtroppo, e nel farlo finiamo con l’autolimitarci, riducendo drasticamente le nostre reali potenzialità. La pandemia, nella sua cruda essenza catastrofica, mi ha ricordato questa grande verità, e mi ha ricordato che c’è sempre tempo per cambiare, per reinventarsi e per scoprire nuove passioni.

Grazie al lockdown infatti, oltre ad aver compiuto un passo avanti nella mia esperienza come fotoamatore, ho aggiunto una nuova passione a quelle che già avevo: ho acquistato una chitarra elettrica e ho cominciato a seguire lezioni a distanza con un maestro di musica. In fondo anche il suono, come la luce, non è altro che vibrazione.

 

 

 

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